Tifo fluviale giapponese

Chiamato anche Tsutsugamushi in Giappone, tifo delle boscaglie, tifo degli acari o tifo tropicale, il tifo fluviale giapponese è provocato da batteri considerati appartenenti allo stesso genere di quelli del tifo, ma tale classificazione è oggi in fase di riformulazione.

CAUSE

Il tifo fluviale giapponese è una zoonosi (una malattia trasmessa dagli animali all’uomo) provocata da Orientia tsutsugamushi, un batterio aerobio, Gram negativo, intracellulare obbligato (in grado di riprodursi solamente all’interno di una cellula ospite), appartenente alla famiglia delle Rickettsiaceae, del genere Orientia, anche se è stato considerato parte del genere Rickettsia, a cui appartiene anche il batterio del tifo, per via delle molte somiglianze. Con un elevato tasso di variabilità nelle proteine della membrana, presenta molti ceppi diversi, di cui i principali sono Karp, Gilliam, Kato, Shimokoshi, Kuroki e Kawasaki.

Una volta penetrato nell’organismo ospite, O. tsutsugamushi colpisce i mielociti in prossimità del sito d’inoculazione e successivamente le cellule endoteliali del vaso sanguigno. Entrato in contatto con una cellula bersaglio, stimola il meccanismo di endocitosi della cellula, che lo ingloba in una vescicola formata da un frammento della sua membrana cellulare e lo assorbe. Il batterio fuoriesce dalla vescicola prima che questa venga degradata dai lisosomi e si sposta in prossimità del nucleo, dove inizia a riprodursi. Terminata la riproduzione, fuoriesce dalla cellula formando una seconda vescicola nella membrana.

TRASMISSIONE

I vettori della malattia sono gli acari della famiglia delle Trombiculidae, le cui larve si nutrono di tessuti epiteliali liquefatti prevalentemente di piccoli roditori e più raramente dell’uomo, trasmettendo il batterio che risiede nelle loro ghiandole salivari. Il batterio è presente anche nelle uova degli acari, tramite le quali infetta nuove generazioni (trasmissione transovarica).

DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA

La malattia è diffusa principalmente nella regione dell’Asia-Pacifico, tra la Russia orientale e la Corea a nord, l’Australia settentrionale a sud e l’Afghanistan a ovest, includendo diverse isole del Pacifico occidentale come Giappone, Taiwan, Filippine, Papua Nuova Guinea, Indonesia, Sri Lanka e il subcontinente indiano, anche se negli ultimi anni è stata individuata anche in Africa, Europa e Sud America.

In Asia rappresenta una delle principali malattie presenti nelle regioni rurali, con indagini di sieroprevalenza che hanno trovato tracce di infezioni nel 50% della popolazione. Si stimano oltre un milione di casi nell’Asia-Pacifico ogni anno e oltre un miliardo di persone a rischio infezione in tutto il mondo. Colpisce più frequentemente individui tra i 60 e i 69 anni, principalmente contadini, anche se sono in netto aumento i casi anche in contesti urbani.

SINTOMI

Il periodo d’incubazione va dai 6 ai 21 giorni dalla puntura dell’acaro, dopo i quali i sintomi appaiono improvvisamente. I più comuni sono febbre, brividi, dolori muscolari, mal di testa e gonfiore dei linfonodi, a cui si può accompagnare tosse durante la prima settimana ed eruzione cutanea 5-8 giorni dopo la comparsa della febbre. Si possono avere anche sintomi mentali che variano da stati di confusione al coma. Nei casi più gravi si sviluppano insufficienze degli organi ed emorragie che possono portare alla morte. Il sito della puntura può presentare un’escara, una regione nerastra simile a una crosta, che può facilitare la diagnosi della malattia.

DIAGNOSI

In regioni in cui la malattia è comune può essere considerata sufficiente la presenza dell’escara, ma non è sempre presente e i sintomi sono comuni a quelli di molte altre malattie, per cui è possibile ricorrere a test aggiuntivi alla valutazione medica per confermare la diagnosi.

I test più utili sono test di immunofluorescenza effettuato su un campione di tessuto prelevato dall’eruzione, ELISA e analisi del DNA con la tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR). È possibile anche fare ricorso a test sierologici effettuati su campioni di sangue, soluzione più economica ma che richiede due test separati da un periodo di 1-3 settimane per verificare un aumento nel numero di anticorpi, segno di un’infezione in corso. Per questo motivo sono raramente utili a identificare la malattia alla comparsa dei sintomi, ma possono dare conferma in un secondo momento.

TRATTAMENTO

Il trattamento si basa su una terapia antibiotica a base di doxiciclina somministrata per via orale, fino all’assenza di febbre per 48 ore, con un periodo minimo di 7 giorni.

PREVENZIONE

Non sono disponibili vaccini, per cui è necessario fare affidamento a un’attenta profilassi comportamentale per ridurre la probabilità di essere punti dagli acari. Nelle regioni a rischio è bene evitare zone in cui la boscaglia e la vegetazione sono particolarmente fitte, dove è più probabile imbattersi in larve. È inoltre importante utilizzare repellenti come la DEET (dietiltoluamide) e trattare abiti e attrezzature con permetrina allo 0,5%, seguendo con attenzione le istruzioni specificate sui prodotti.

Fonti: ISS, Epicentro

Le informazioni presentate hanno natura generale, sono pubblicate con scopo divulgativo per un pubblico generico e non sostituiscono il rapporto tra paziente e medico.
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