Storia della Malaria
Data pubblicazione: 03/10/2022
Categoria: News - Autore: Fiorella Gandini
Che cos’è la malaria
La malaria è una parassitosi, una patologia causata da un protozoo parassita, il Plasmodium, che vive e si riproduce sia nel sangue umano sia in diverse specie di zanzare del genere Anopheles. Sono quattro le specie di Plasmodium che possono trasmettere la malaria: falciparum, vivax, ovale e malariae. Il falciparum è il più letale.
L’uomo può essere contagiato dalla puntura di una zanzara femmina infetta, detta vettore, che viene a sua volta contagiata pungendo, per nutrirsi, soggetti nel cui sangue sono presenti i parassiti della malaria. Le specie di zanzara Anofele sono circa 430, ma solo 30/50 di esse possono trasmettere la patologia. Questa parassitosi ha un periodo di incubazione che varia dai 7 ai 3 giorni e si manifesta con febbre elevata e altri disturbi sistemici (processi morbosi che possono colpire in modo diffuso uno o più organi), analoghi a quelli influenzali.
I dati dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), evidenziano che questa patologia continua a contagiare milioni di persone ogni anno, in particolare bambini sotto i 5 anni e donne in gravidanza.
Storia della malaria e della sua etimologia
L’etimologia della parola malaria deriva da “mal’aria”, espressione coniata a Venezia nel 1571 per definire l’aria malsana o “mal aere” proveniente dalle paludi alla foce dei fiumi che sfociavano nella laguna veneta e causava “molte febre”, come riporta M. Corsaro nelle Scritture della laguna. Proprio per la sua diffusione in aree paludose la malaria era anche nota come “paludismo” e ancor oggi, in Francia, viene denominata “paludisme”.
La malaria era già conosciuta 4000 anni fa, le prime testimonianze di febbre stagionale o intermittente si trovano in testi medici e religiosi di Sumeri, Babilonesi, Assiri, Egiziani, Cinesi, Indiani. Per questi popoli le febbri malariche erano originate dalla collera di divinità offese o da demoni e poteva essere placata solo con riti sacrificali e con l’uso di medicamenti a base di erbe particolari. Alcuni testi di medicina cinese, del 2700 anni A.C., riportano di “ingrossamenti della milza collegati a febbri ricorrenti” attribuendo questi fenomeni all’azione di 3 demoni: quello del mal di testa, quello dei brividi e quello della febbre.
Nell’antica Grecia, la patologia era ben conosciuta e Ippocrate la descrive facendo la distinzione tra febbri intermittenti, terzane (aumento della temperatura, che dura un giorno, scompare il 2° e ricompare il 3°, 5°, 7° giorno e così ogni 24 ore) e quartane (ipertermia che dura un giorno, scompare per due giorni e ricompare al 4°, 7°, 9°giorno, così ogni 48 ore).
Come riportato in precedenza, anche nell’Impero romano la malaria era associata alle paludi: infatti, era denominata febbre palustre e Marco Terenzio Varo, nel De re rustica, sottolinea la pericolosità di abitare vicino alle paludi dove vivevano animali invisibili che trasmettevano questa parassitosi. Molti autori romani, da Catone a Orazio, Tacito, Lucrezio, menzionano nei loro scritti le febbri malariche. Nel corso della storia questa patologia influenzò più volte il corso degli eventi civili e politici perché diversi personaggi illustri sono deceduti per questa patologia, da Alessandro Magno, ad Alarico (re dei Visigoti), Dante Alighieri, S. Agostino, Petrarca, George Washington, Cristoforo Colombo, Cesare Borgia, Orazio Nelson, Carlo V, Ghandi, Ho Chi Minh e ancora i papi Leone X, Sisto V e Alessandro VI.
La malaria è stata presente nella storia dell’uomo lungo tutto il periodo del medioevo e si diffuse nei paesi dell’Europa centrale e in quelli dell’est europeo. Intorno al XVI secolo, per effetto delle colonizzazioni, si propagò anche nelle Americhe.
Attualmente questa parassitosi è diffusa nelle zone tropicali e subtropicali, dove il clima, umido e piovoso, è il terreno ideale per la riproduzione della zanzara Anofele, ma anche in varie regioni con clima temperato-continentale, ad esempio la Turchia, e in alcune zone centro asiatiche.
La lotta contro la malaria dai tempi antichi a oggi
Già nel lontano 340 A.C. si pensava a come debellare la malaria. In uno scritto di Ge Hong, ufficiale della dinastia Yin, si descrivono le proprietà antifebbrili del Qinghao, l’albero dell’Artemisia annua, il cui principio attivo, l’artemisinina, venne individuato nel 1971 in Cina dove iniziarono le prime sperimentazioni sull’uomo. Dall’Artemisia annua vengono estratti, ancor oggi, molti derivati presenti nei farmaci per la cura della malaria. Nel corso dell’era delle colonizzazioni, nel XVII secolo, gli Inca del Perù fecero conoscere agli spagnoli colonizzatori le proprietà antifebbrili dell’estratto ottenuto dal decotto della corteccia ridotta in polvere dell'albero di Cinchona Rossa, nota anche come "albero della febbre".
Furono in particolare i Gesuiti, che risiedevano in Perù, i primi a descrivere la “miracolosa” proprietà curativa di questa polvere denominata anche “polvere dei gesuiti”, “polvere del cardinale”, “corteccia sacra” o “polvere della contessa”, a introdurla in Europa rivoluzionando il metodo del trattamento della malaria e introducendo, così, lo sviluppo dei primi farmaci antimalarici.
La procedura di estrazione del principio attivo, per opera dei farmacisti francesi Plletier e Caventou, venne resa pubblica affinché tutti potessero produrlo e avere la possibilità di curarsi. Bisogna, però, aspettare il 1800 per arrivare alla scoperta dell’agente malarico, il plasmodio. Lo identificò per primo Laveran, un medico militare francese che lo trovò nel sangue di un paziente in Algeria. Successivamente studiosi italiani, Marchiafava, Celli e Golgi, evidenziarono le differenze tra i vari tipi di Plasmodio: Plasmodium falciparum responsabile della febbre terzana maligna, Plasmodium vivax e ovale delle febbri terzane benigne, Plasmodium malariae, della febbre quartana benigna.
In Italia la malaria è debellata grazie alle bonifiche delle aree paludose del paese (Maremma, Agro Pontino, Valli di Comacchio, ecc.), all’educazione sanitaria impartita alle popolazioni rurali e alla profilassi con il chinino, ma è con l’uso del DDT (di-cloro-difenil-tricloroetano), altamente tossico per gli insetti ma meno per l’uomo, che questa parassitosi fu definitivamente debellata. Nel 1970, l’OMS dichiarò l’Italia ufficialmente esente da questa patologia.
Dalla scienza alla leggenda: la nascita della zanzara
Una leggenda vietnamita narra che la zanzara sia nata da un amore tradito. In un villaggio di palafitte vivevano un giovane coltivatore di riso e la moglie, erano felici anche se la moglie sognava una vita lussuosa. Un giorno la fanciulla morì, il marito disperato non la seppellì, ma comprata una piccola barca, salpò con il corpo della moglie. Nel corso della navigazione arrivò alla montagna del genio della medicina e lo pregò di restituire la vita alla moglie. Commosso dal profondo amore del giovane, il genio gli tagliò un dito e fece cadere tre gocce di sangue sul corpo della fanciulla che tornò in vita. Sulla via del ritorno ormeggiarono in una città per fare provviste e, nel frattempo che il marito si era allontanato, la barca di un ricco mercante si affiancò a quella degli sposi. Colpito dalla bellezza della fanciulla il mercante la invitò a salire sulla sua barca e salpò. Quando il giovane coltivatore tornò, non trovò più la moglie e navigò per mesi finché la rivide sulla barca del ricco mercante. La supplicò di tornare a casa con lui, ma lei abituata alla vita lussuosa, tanto sognata, si rifiutò. Il povero marito allora le chiese di restituirle le sue tre gocce di sangue che le avevano ridato la vita, la giovane acconsentì e si fece un piccolo taglio sul dito. Mentre il sangue scendeva, lei diventava sempre più debole e morì per la seconda volta. Si reincarnò in un essere vivente diverso, una zanzara, e cominciò a infastidire, con le sue punture, prima il marito poi tutta l’umanità per recuperare le tre gocce di sangue che le avrebbero ridonato la vita.
Leggenda del chinino
Le storie che riguardano la scoperta del chinino sono due, ma solo una è quella accettata in Europa. La prima narra di un indiano che si era perso nella giungla andina e aveva la febbre molto alta. La sete ardente lo portò a bere da una pozza di acqua stagnante dal sapore amaro. Si rese conto che l’acqua era stata contaminata dagli alberi Quina-Quina che erano intorno alla pozza e pensava di essersi avvelenato. Subito dopo, però, si rese conto che la febbre era scomparsa e volle condividere con gli abitanti del villaggio questa scoperta. Da allora la corteccia di questi alberi venne usata nel trattamento della febbre.
La versione che venne diffusa in Europa riguarda la contessa spagnola di Chinchon, moglie del Viceré del Perù, che contrasse la malaria e fu curata con la corteccia di un albero, denominato poi dal botanico Linneo, Chincona officinalis in onore della contessa. Tornata in Spagna, la consorte del Viceré portò con sé la corteccia e in questo modo venne introdotto il chinino in Europa.