Sai che la Toxoplasmosi è una patologia del viaggiatore?
Data pubblicazione: 25/05/2023
Categoria: News - Autore: Giulia Menghetti
La toxoplasmosi è una zoonosi causata da Toxoplasma Gondii; questo parassita può infettare molti animali ed essere trasmesso all’uomo tramite l’ingestione di carni infette. Un’altra modalità di infezione risulta essere quella tramite le feci di gatto, particolarmente pericolosa per le donne in gravidanza.
L’infezione da Toxoplasma Gondii si suddivide in due fasi consecutive: la prima, definita come toxoplasmosi primaria, dura settimane o mesi durante le quali è possibile riscontrare il parassita in forma attiva sia a livello ematico che a livello linfonodale e in cui si ha la fase sintomatica di malattia, con stanchezza, mal di testa, mal di gola, sensazione di ossa rotte, ingrossamento linfonodale ed eventualmente epatomegalia e splenomegalia; la seconda, definita come toxoplasmosi post primaria, dipende dalla risposta dell’organismo a questa infezione ed è caratterizzata dalla scomparsa di segni, sintomi e alterazioni laboratoristiche proprie della malattia attiva ma con la residua presenza del parassita in forma inattiva, “incistato”. Se le difese dell’organismo si abbassano, il parassita può andare incontro a riattivazione e causare danni all’ospite.
Esistono alcune forme di Toxoplasmosi in cui la fase primaria, a causa di un’inefficace risposta immunitaria da parte dell’ospite, si complica con sintomi gravi, quali corioretinite ed encefalite. Questa eventualità si verifica più frequentemente in soggetti immunocompromessi come i pazienti affetti da HIV o trapiantati.
Una popolazione ad elevato rischio per l’infezione da toxoplasma è quella delle donne in gravidanza, a causa dei danni che può subire il feto; nel caso in cui la donna dovesse contrarre l’infezione in gravidanza si procede immediatamente al trattamento con spiramicina. Il trattamento più efficacie rimane in ogni caso la prevenzione primaria tramite allontanamento dai gatti, in modo particolare quelli randagi, e l’evitamento nell’alimentazione di consumo di carni poco cotte o alimenti ortofrutticoli non adeguatamente puliti.
Le donne in gravidanza non sono l’unica popolazione a rischio per quanto riguarda questa patologia, ma sono coinvolti anche i viaggiatori. A dirlo è lo studio “Toxoplasma gondii Serotypes in Italian and Foreign Populations: a Cross-Sectional Study Using a Homemade ELISA Test”, condotto dall’IRCCS di Negrar in collaborazione con l’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, insieme all’Ateneo della città lombarda e pubblicato sulla rivista scientifica Microorganisms.
Attraverso questo studio è stato evidenziato come una elevata quota della popolazione italiana sia positiva al ceppo II, quello maggiormente diffuso nel territorio nazionale, mentre i ceppi I e III sono stati riscontrati prevalentemente nella popolazione migrante o comunque viaggiatrice. Da questo studio sembra inoltre emergere come siano i maschi viaggiatori ad avere una probabilità più elevata di contrarre l’infezione dai ceppi maggiormente patogeni.
Il maggior rischio associato alla categoria di viaggiatori si riconduce essenzialmente alla possibilità di contrarre l’infezione nelle sue forme più aggressive, endemiche in determinate zone del globo. Infatti, i ceppi a maggiore patogenicità sono endemicamente diffusi in territori come il Brasile, l’Africa e il Messico.
Anche in questo caso la strategia terapeutica maggiormente efficace sembra essere quella della prevenzione primaria; infatti, i soggetti che devono affrontare viaggi nelle zone in cui questi ceppi sono endemici, dovrebbero sottoporsi ad una consulenza medica pre-partenza per essere educati ad astenersi dal consumo di liquidi che non siano sigillati in bottiglia, ma anche dal consumo di alimenti crudi o poco cotti. Inoltre, si consiglia alle donne in gravidanza che non hanno mai contratto la toxoplasmosi, di astenersi dal viaggiare in zone a diffusione endemica di ceppi ad alto grado di patogenicità.
La Toxoplasmosi del viaggiatore deve essere fortemente sospettata di fronte a soggetti tornati da poco da zone a rischio che presentino sindrome febbrile, ingrossamento dei linfonodi e, nei casi gravi, sintomi visivi. Nel caso in cui vengano riscontrati sintomi visivi deve essere immediatamente effettuata una consulenza oculistica specialistica e deve essere tempestivamente avviata la terapia con pirimetamina, sulfadiazina e cortisone.
Per quanto riguarda la diagnosi di questa infezione, è particolarmente importante avere la possibilità di fare diagnosi precoce nelle donne in gravidanza, e questo lo si fa tramite il Toxo Test: un metodo di ricerca sierologica di anticorpi anti-toxoplasma. Negli altri casi si procederà all’iter diagnostico solo in presenza di anamnesi e quadro clinico suggestivi.
Come già specificato, il trattamento dell’infezione in gravidanza viene effettuato tramite la somministrazione di spiramicina, un antibiotico ben tollerato sia dal punto di vista materno che fetale. Per quanto riguarda invece gli altri casi, che comprendono anche la forma associata ai viaggi, il trattamento si basa sulla somministrazione di pirimetamina e sulfadiazina, per una durata di trattamento circa di cinque settimane.
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Fonti:
ISS – Istituto Superiore di Sanità