La pandemia da Covid-19 è finita: come sono cambiati i viaggi di lavoro

Data pubblicazione: 29/11/2023
Categoria: News - Autore: Sante De Santis

La pandemia da Covid-19 è finita: come sono cambiati i viaggi di lavoro

Negli ultimi decenni la globalizzazione ha provocato un aumento vertiginoso dei viaggi d’affari, che rappresentano uno strumento fondamentale per le imprese desiderose di affermarsi sul mercato sia interno che estero. Dopo anni di crescita inarrestabile, il volume delle trasferte di lavoro è tuttavia crollato a causa del manifestarsi del Covid-19, malattia originatasi sul finire del 2019 nella città cinese di Wuhan e poi propagatasi nel resto del mondo fino ad assurgere a pandemia. A partire dalla dichiarazione di emergenza sanitaria internazionale rilasciata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 30 gennaio del 2020, molti Stati hanno infatti deciso di limitare gli ingressi o di chiudere del tutto le frontiere, con conseguenze significative sulla capacità delle persone di spostarsi da un Paese all’altro (secondo uno studio effettuato dalla U.S. Travel Association, da marzo a dicembre 2020 le spese per i viaggi sono diminuite di 492 miliardi di dollari rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

La crisi da Covid-19, che ha causato circa 7 milioni di decessi su oltre 700 milioni di contagi, con tassi di mortalità per 100.000 abitanti più alti in Perù, Stati Uniti e Cile, ha avuto un impatto rilevante nondimeno sugli aspetti economici, politici e securitari delle Nazioni maggiormente coinvolte. Accanto alla caduta del PIL e al rafforzamento del potere esecutivo ai danni di quello legislativo, nei Paesi che hanno emanato provvedimenti restrittivi in materia di circolazione o imposto prolungati periodi di lockdown, i reati cosiddetti comuni nonché i crimini violenti sono diminuiti notevolmente, ad eccezione di delitti come, per esempio, l’usura, cresciuta enormemente per via dell’impoverimento della popolazione. Pochi e limitati effetti si sono riscontrati sul fronte della criminalità organizzata che, ove presente, è riuscita a adattarsi al nuovo contesto ripensando le modalità attraverso le quali portare avanti le proprie attività illecite e, in alcuni casi, sostituendosi ai governi per ciò che concerne l’elargizione degli aiuti alle persone in difficoltà, come accaduto nelle aree più disagiate del Messico.

Col finire della pandemia, ma non della malattia, si è assistito ad una sorta di normalizzazione della situazione, che ha interessato anche i viaggi di lavoro. A dispetto delle profezie negative di coloro i quali affermavano che i mutamenti introdotti durante il Covid-19 (si pensi alle riunioni telematiche) avrebbero ridimensionato indefinitamente il numero delle trasferte all’estero, diverse ricerche hanno invece dimostrato il contrario, ovvero un ritorno a quote di viaggi simili se non superiori a quelle precedenti l’emergenza sanitaria. Tra gli studi più recenti vi è quello svolto dalla Global Business Travel Association (GBTA), da cui è emerso che nel 2024 le spese per i viaggi d’affari eguaglieranno i livelli pre-Covid, per arrivare a un totale di 1,8 trilioni di dollari entro il 2027. Sempre secondo lo studio in questione, le aree che sperimenteranno una ripresa maggiore saranno l’Europa occidentale, il Nord America, l’America Latina e l’Asia, che potrà beneficiare del pieno ripristino dei commerci da parte della Cina, che è stata l’ultima Nazione ad abbandonare le misure di contenimento anti-Covid. Da un’altra indagine condotta dalla compagnia Morgan Stanley, è altresì emerso che l’aumento del budget relativo alle trasferte di lavoro non riguarderà solamente le grandi imprese, ma anche le piccole e medie aziende che, sebbene siano state duramente colpite dalla pandemia, non possono permettersi di non essere attive sul mercato.

La lezione impartita dal Covid-19 ha cambiato il modo di considerare i viaggi di affari, che devono essere affrontati con la massima serietà e consapevolezza, vale a dire adottando una attenta e dettagliata valutazione dei rischi sanitari (ma non solo) prima della partenza. A tal fine, di fondamentale rilievo risulta aver ben chiaro il quadro delle malattie presenti nel Paese di destinazione, nonché la loro precisa localizzazione e gli ultimi casi segnalati, in modo da impiegare tutti quegli accorgimenti capaci di ridurre, se non eliminare del tutto, le minacce alla salute dei dipendenti.

La fine dell’emergenza pandemica ha inoltre spinto le imprese a dotarsi ancor di più di strumenti tecnologici in grado di informare e monitorare i lavoratori durante la permanenza all’estero, quali, per esempio:

  • piattaforme digitali su cui trovare i recenti avvenimenti in tema di sicurezza, politica e salute nei Paesi interessati oltre a nuovi ed eventuali adempimenti burocratici da rispettare;
  • alert da inviare direttamente sui cellulari dei trasfertisti;
  • dispositivi GPS per seguire gli spostamenti dei lavoratori.

 

Infine, si è rafforzata in modo considerevole la già presente tendenza delle aziende a personalizzare i viaggi di lavoro, che vanno organizzati tenendo conto delle specifiche peculiarità degli individui, e a stipulare assicurazioni che contemplino il più ampio ventaglio delle minacce.

L’accresciuta attenzione delle imprese alle esigenze dei dipendenti da inviare all’estero non deve essere vista come una reazione estemporanea legata alla conclusione della pandemia, ma come un processo destinato a divenire permanente. Solo così, infatti, sarà possibile per le aziende aderire agli standard sovranazionali (si pensi alla norma ISO 31030 per i viaggi internazionali) e alle disposizioni interne volte a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori e, di conseguenza, evitare di incorrere in sanzioni di carattere civile e penale che possano comprometterne il successo sul mercato.

Fonti:

Toptal

Morgan Stanley

Bizaway

The National

https://www.gbta.org/global-business-travel-industry-forecast-is-for-accelerated-rebound-spending-to-reach-1-8-trillion-by-2027/

KFF

Insurance Business

Fortune

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