Il tifo e la sua diffusione nei Paesi del mondo
Data pubblicazione: 14/11/2022
Categoria: News - Autore: Fiorella Gandini
Il tifo o febbre tifoide è una patologia infettiva causata da un batterio, la Salmonella Typhi, che si trasmette attraverso il consumo di cibi o bevande inquinate. Il contagio può verificarsi in queste situazioni:
- manipolazione di alimenti con mani infette;
- bere e lavare alimenti con acqua contaminata da feci o scarichi di fogna.
I sintomi si manifestano dopo 1-2 settimane dall’incubazione e sono:
- febbre alta fino a 40°;
- dolore e gonfiore addominale;
- ingrossamento di milza e fegato;
- perdita di peso e di appetito;
- stitichezza o diarrea;
- mal di testa;
- tosse.
Questa infezione deve essere diagnosticata e trattata tempestivamente con antibiotici per evitare complicazioni che possono essere letali come: disidratazione, epatosplenomegalia (ingrossamento di milza e fegato), encefalite, bradicardia (battiti rallentati), diarrea con presenza di sangue.
Nei Paesi con scarsa cultura igienico sanitaria, l’acqua può diventare un veicolo di agenti patogeni. Per questo motivo, quando ci si reca in Paesi in via di sviluppo, è essenziale ricordare di:
- bere esclusivamente acqua o bibite contenute in bottigliette sigillate;
- non raffreddare le bevande con cubetti di ghiaccio, possono essere stati preparati con acqua a rischio;
- non mangiare cibi mal cotti o cucinati con acqua che potrebbe essere infetta.
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) stima che, nel mondo, si ammalino di tifo circa 20 milioni persone e, annualmente, per circa 161.000 di esse questa infezione può essere letale.
Nei Paesi occidentali la febbre tifoide è molto rara mentre può rappresentare ancora un fattore di rischio per la salute nei Paesi in via di sviluppo a causa della mancanza di acqua potabile e di condizioni igienico sanitarie carenti. I Paesi a maggiore diffusione sono: Africa, Sud Est asiatico, America meridionale e Subcontinente indiano.
Tifo dal Medioevo ai giorni nostri
Il primo esempio di epidemia di tifo è quello descritto, con rigore scientifico, dallo storico Tucidide nella sua opera “La guerra del Peloponneso” quando la febbre tifoide colpì la città di Atene nel 430 a.C. e mise in crisi i valori culturali e religiosi della città uccidendo un quarto della popolazione. Nel Medioevo, le frequenti epidemie erano provocate dalla scarsa igiene personale e ambientale; nelle strade si gettava di tutto e si camminava tra rigagnoli e pozze d’acqua sporca, si potevano persino vedere deiezioni umane e animali. Anche la preparazione delle derrate alimentari veniva, spesso, effettuata con mani non sempre pulite e con acqua infetta. Inoltre i cibi mal cotti, soprattutto carni o uova, potevano essere veicolo per l’infezione.
In qualunque momento storico in cui siano presenti fame o guerre con conseguente concentrazione di più persone in spazi angusti, dove vi sia poca attenzione all’igiene personale, ambientale e alimentare o siano presenti falde acquifere inquinate, si possono creare le condizioni per il proliferare di epidemie di febbre tifoide.
Anche nelle due Guerre Mondiali lo stato di degrado delle fognature e degli acquedotti dopo i bombardamenti fu causa di moltissimi episodi di tifo, così come i campi di sterminio erano serbatoi di infezioni enteriche dovute alla Salmonella Typhi per la scarsa igiene in cui erano tenuti i prigionieri e per l’acqua infetta che bevevano. Insieme agli orrori dei lager, nel 1940, si ricorda una grande epidemia di tifo a Varsavia, nel famoso “Ghetto” dove i nazisti rinchiusero oltre 400.00 ebrei. Nei 3,4 km2 di spazio le condizioni sanitarie e il sovraffollamento furono la scintilla che fece scoppiare l’epidemia che provocò 25.000 morti.
In Italia, tra gli anni Settanta e Novanta, i casi di tifo sono notevolmente diminuiti. Nel 2000 sono stati segnalati, in Campania, alcuni casi di questa infezione che non sembrano, però, essere in relazione con l’emergenza rifiuti. Sempre nello stesso anno qualche focolaio è stato registrato anche nel Lazio, in Puglia e Basilicata.
In Europa, secondo l’ISS, i casi di febbre tifoide sono per lo più riconducibili a viaggi in paesi endemici, condizione che viene descritta in modo eccezionale da Bertolucci nel film “Il tè nel deserto”.
Nel mondo, i Paesi particolarmente a rischio e con alta mortalità sono: Africa settentrionale, America Latina, Asia e gran parte dei Paesi tropicali, mentre in quelli più industrializzati come l’America settentrionale, il Giappone, l’Australia e l’Europa occidentale, la diffusione è minore.
Tifo e antibiotico-resistenza
Una recente ricerca pubblicata sulla rivista The Lancet Microbe ha rilevato che il batterio della febbre tifoide sta diventando sempre più resistente agli antibiotici. Gli scienziati hanno sequenziato più di 7.500 genomi di Salmonella Typhi, provenienti in maggioranza dall’Asia meridionale, e hanno anche scoperto che i ceppi più resistenti si sono sviluppati, moltiplicati e diffusi circa 197 volte in altri Paesi negli ultimi 30 anni. Un altro studio, riportato sulla rivista scientifica Nature Genetics, evidenzia che in Africa e Asia la resistenza agli antibiotici è stata sviluppata dal ceppo H58 del batterio Salmonella Typhi.
Gli studiosi hanno notato che l’H58 ha subito alcune mutazioni del corredo genetico e potrebbero essere queste a renderlo resistente agli antibiotici attualmente in uso.
Le misure di prevenzione raccomandate per i viaggiatori in aree endemiche sono: vaccinarsi e adottare comportamenti alimentari e di igiene corretti. Da non dimenticare, assolutamente, i gel antisettici per avere sempre le mani disinfettate.