Il pericolo dello scioglimento dei ghiacci: un serbatoio di infezioni
Data pubblicazione: 02/11/2023
Categoria: News - Autore: Fiorella Gandini
L’innalzamento delle temperature, causato dai cambiamenti climatici, sta provocando lo scioglimento dei ghiacciai dove i ricercatori hanno individuato una ricca concentrazione di virus e batteri. Questi microrganismi, intrappolati da secoli nel ghiaccio, potrebbero risvegliarsi, riversarsi nelle acque di fiumi o laghi e infettare animali ed esseri umani diventando una nuova potenziale minaccia per l’umanità.
Questi microbi metabolicamente attivi, se risvegliati, potrebbero iniziare a riprodursi ed essere in grado di innescare infezioni perché il sistema immunitario umano e animale è immunologicamente vergine nei confronti di questi patogeni e, pertanto, incapace di reagire; allo stesso modo gli antibiotici odierni potrebbero non essere in grado di contrastarli.
La capacità di riproduzione di virus e batteri è condizionata dallo stato di conservazione, ossia, se una parte degli acidi nucleici o quelli della capsula dei polisaccaridi del virus sono danneggiati o neutralizzati al momento del congelamento, la carica virale è inferiore; diversamente, se il patogeno antico si è congelato in buone condizioni, può essere in grado di riprodursi e diventare contagioso.
Negli ultimi anni si è assistito a uno scioglimento sempre più significativo dello strato di permafrost, terreno perennemente ghiacciato costituito da roccia, sedimenti e suolo, presente in Siberia, Nord Europa, America settentrionale e sulle nostre Alpi oltre i 2,600 m. Gli strati superficiali di permafrost, denominati strati attivi, in circostanze naturali si scongelano con l’arrivo dell’estate. Il riscaldamento globale, invece, sta provocando il decongelamento anche degli strati più profondi e più antichi di permafrost che, per millenni, hanno custodito sostanze inquinanti (carbonio in forma di anidride carbonica e metano), virus e batteri risalenti persino al pleistocene (epoca geologica iniziata due milioni e mezzo di anni fa) che potrebbero provocare focolai epidemici.
Nel 2016, ad esempio, nella Siberia settentrionale, molte persone sono state infettate: un ragazzo è deceduto e insieme con lui 2000 renne a causa del virus dell’antrace, probabilmente trasmesso dalla carcassa, non più ibernata, di una renna infetta, morta 75 anni prima.
Spillover (salto di specie)
Secondo i ricercatori di microbiologia dell’Università Bicocca di Milano, la possibilità che batteri e virus si possano risvegliare è attualmente bassa perché il suolo dove sono congelati è freddo e inospitale, frequentato solo da biologi o ricercatori. Il superamento della barriera di specie, spillover in inglese, inoltre, può avvenire per quei patogeni con genomi in grado di adattarsi con grande facilità a nuove specie.
Lo spillover, o salto di specie, è un processo naturale per cui un microrganismo patogeno di una specie ospite, ipotizziamo quella animale, evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi, ad esempio, all'interno della specie umana.
La comunità scientifica segue con attenzione questi fenomeni studiando e ricercando quali tipi di patogeni dormono sotto il ghiaccio, consapevole che, nel corso dei prossimi secoli, il rischio di spillover potrebbe diventare sempre più reale.
Il Proceedings of the Royal Society, la rivista scientifica più importante della Gran Bretagna, ha pubblicato una ricerca focalizzata sull’analisi genetica del suolo e dei sedimenti del lago di acqua dolce Hazen, nell’Artico: da questo studio è emerso che, dove i ghiacci si sciolgono, aumenta la possibilità di spillover.
Virus e batteri, ibernati nel permafrost e nei ghiacci, potrebbero infettare la fauna per la combinazione di due fattori facilitati dall’accelerazione del cambiamento climatico:
- le acque di disgelo dei ghiacciai, dove è stata individuata una ricca fauna batterica e virale
- lo spostamento di molte specie animali verso i poli.
La biologa Stéphane Aris-Brosou e il suo team hanno sequenziato l’RNA e il DNA di virus e batteri raccolti nel lago e, con un algoritmo, hanno esaminato la possibilità che questi microbi hanno di infettare altri organismi, deducendo che questa eventualità è maggiore dove defluisce l’acqua di disgelo; in Artico, questo fenomeno è sempre più frequente. Il surriscaldamento di questo mondo di ghiaccio è quattro volte più veloce rispetto alla media globale del pianeta.
Un’altra ricerca condotta da Alessandro Miani, ricercatore di Scienze tecniche mediche applicate del dipartimento di Scienze e Politiche ambientali dell’Università Statale di Milano e presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), nonché esperto per il Ministero dell’Ambiente, ha individuato virus potenzialmente pericolosi per l’uomo in un ghiacciaio in scioglimento sull’Himalaya. Lo scioglimento dei ghiacci rischia, pertanto, di far riemergere microrganismi antichi potenzialmente patogeni: per questo motivo, è importante ridurre le emissioni dei gas serra; tra i più dannosi e noti ricordiamo il metano e l’anidride carbonica, che alterano il clima, accelerano il surriscaldamento e si ipotizza possano provocare lo scongelamento di circa il 70% del permafrost.
Permafrost e ghiacciai: congelatori naturali per virus e batteri
Il permafrost, formatosi nel corso dei millenni, è popolato da una moltitudine di virus antichi e moderni ibernati nel ghiaccio, ancora poco conosciuti. In campioni di ghiaccio dell’artico canadese, nel 1997, sono stati isolati e resi attivi, in condizioni controllate, alcuni batteri coliformi (microrganismi aerobi o anaerobi facoltativi, non sporigeni a forma di bastoncello appartenenti alla famiglia delle enterobatteriacee), risalenti a circa 2000 anni fa.
Tra il 2014 e il 2015 sono stati identificati due virus, ibernati nei ghiacci della Siberia da circa 30 mila anni, ancora potenzialmente patogeni e, nel 2020, in frammenti raccolti nell’arcipelago delle Svalbard, zona artica norvegese, sono stati trovati batteri teoricamente pericolosi per l’uomo. Tracce genetiche del virus dell’influenza spagnola e di quello simile al vaiolo sono stati individuati in alcune mummie ritrovate in Alaska e Siberia, mentre in campioni di acqua, rocce e terreno dell’Artide si sono trovati patogeni fungini resistenti ai farmaci antimicotici.
Uno studio preliminare, pubblicato a dicembre 2022, non ancora revisionato dalla comunità scientifica, ha identificato un virus gigante, probabilmente il più antico mai rinvenuto, rimasto sepolto per 48.500 anni sotto uno strato di permafrost a 16 metri sotto il fondo di un lago a Yukechi Alas, in Yakutia, Russia, scongelato e riattivato, in condizioni controllate, dagli scienziati. Questo microrganismo, della famiglia dei virus giganti, che può raggiungere dimensioni 10 volte superiori rispetto a quelle di un virus comune, è stato denominato Pandoravirus e può infettare solo organismi unicellulari come amebe e alghe. Sono stati individuati, anche, altri 13 differenti virus antichi che sembrano risalire a un patogeno unico, trovati su pellicce di mammut o nei residui di intestino di lupi siberiani conservati per secoli nei ghiacci. I loro genomi, allo studio dei ricercatori, sono sconosciuti alla letteratura scientifica odierna. Il ritrovamento di questi virus giganti ha messo in allarme la comunità scientifica perché, con lo scongelamento del permafrost, potrebbero costituire un potenziale pericolo per la salute dell’uomo che sarebbe esposto agli stessi patogeni dei nostri progenitori. Alcuni microrganismi, identificati da due diversi gruppi di ricerca, nel 2008 e nel 2017, hanno evidenziato diversi ceppi di geni resistenti a 12 antibiotici. La resistenza antimicrobica è un meccanismo evolutivo naturale che può essere aggravato dall'abuso e dalla scorretta assunzione di questi farmaci, per cui, anche un solo batterio in grado di sopravvivere e moltiplicarsi, può dare vita a diversi ceppi batterici resistenti. I patogeni antichi individuati hanno acquisito una naturale resistenza per sopravvivere ad altri microrganismi (gli antibiotici non erano conosciuti) per questo sono resistenti agli antimicrobici di origine naturale, che derivano da funghi, piante, batteri e animali, cioè il 99% di quelli che vengono somministrati attualmente, ma non a quelli di sintesi, creati in laboratorio.
BioHub
Obiettivo della scienza, condiviso anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è di contenere o gestire tempestivamente eventuali patologie nel caso di future epidemie o pandemie, per questo motivo, a giugno 2021, è stato firmato un accordo con il governo svizzero per la costruzione del primo BioHub, un laboratorio di biocontenimento. Questa struttura, situata a Spiez, a qualche decina di chilometri dalla capitale svizzera, Berna, serve per conservare, analizzare e condividere prontamente virus con potenziale epidemico o pandemico tra i laboratori di tutto il mondo. Conoscere tempestivamente questi nuovi microrganismi può garantire diagnosi rapide e trattamenti efficaci per contenere lo sviluppo di possibili future epidemie. Il laboratorio di Spiez è l'unico, in Svizzera, ad assicurare il più alto livello di sicurezza: qui vengono, infatti, conservati, analizzati e condivisi con altri Paesi, agenti patogeni, anche, altamente pericolosi come ad esempio il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2).
Non solo minaccia: il potenziale dei virus antichi
I virus sepolti nei ghiacci non rappresentano solo una minaccia per l’uomo, ma possiedono anche grandi potenzialità biotecnologiche che possono essere sfruttate nei settori della nutrizione, cosmetica, criopreservazione, criochirurgia, agricoltura, medicina, biocarburanti ecc. Questi microrganismi si sono dovuti evolvere per resistere e rimanere attivi a temperature molto basse e la scienza sta studiando questi serbatoi immensi di biodiversità, rappresentati dalle distese di ghiaccio, per ricavare prodotti biotecnologici. Molte aziende, infatti, che producono enzimi (sostanze proteiche che accelerano o favoriscono alcune reazioni chimiche negli organismi viventi), alcuni dei quali si attivano anche a basse temperature, utilizzano proprio gli ambienti gelidi per le loro colture.
Gli enzimi attivi in condizioni climatiche fredde, per esempio nell'Antartide o nelle Alpi, potrebbero essere impiegati per ridurre l'uso di energia nelle lavatrici e in altre operazioni di pulizia, nel trattamento alimentare oppure nella produzione farmaceutica.
Le proteine anti-congelamento, ad esempio, hanno il compito di proteggere le cellule dal freddo: basse concentrazioni di esse possono essere sfruttate nell’industria alimentare per migliorare la conservazione del cibo; al contrario, una loro alta concentrazione, ha la capacità di creare formazioni di ghiaccio simili ad aghi, che possono penetrare nelle cellule e distruggerle. Questa particolarità viene studiata per una possibile applicazione in chirurgia, ad esempio per la rimozione di tumori. Anche le sostanze polimeriche extracellulari, macromolecole multifunzionali che vengono prodotte dalle cellule di alcuni microrganismi in alta concentrazione per proteggersi dal freddo, possono essere sfruttate per proteggere le cellule da metalli pesanti e inquinanti, assorbendoli.
Queste macromolecole, atossiche e biodegradabili, potrebbero diventare un’alternativa ai polimeri di sintesi ed essere utilizzate in campo farmaceutico, alimentare, cosmetico e persino nel trattamento delle acque reflue. Vivendo in un ambiente con risorse limitate, questi microrganismi si sono evoluti in modo da cibarsi di tutto ciò che trovano e digerire anche sostanze pesanti come i contaminanti.
Dai batteri ibernati la possibile nascita di nuovi antibiotici
L’antibiotico-resistenza rappresenta una delle principali emergenze sanitarie, tanto che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’ha inserita nella lista delle dieci maggiori minacce per salute dell’uomo. A tal proposito, i microrganismi trovati nei ghiacci, possono essere considerati un aiuto per la medicina, infatti, nel 2010 in territorio argentino, è stato scoperto un microrganismo che è capace di produrre la Serraticina A, un composto con proprietà antibiotica. Mentre in Tirolo, nel 2014 sono stati isolati 47 ceppi batterici e, due terzi di questi, hanno evidenziato proprietà antibiotiche a largo spettro. Sulla base di queste scoperte gli scienziati pensano che sotto i ghiacci ci siano altri composti, considerati potenziali alternative, che possano aggiungersi alle altre molecole bioattive in grado di contrastare l’antibiotico resistenza.