Le origini della sifilide
Data pubblicazione: 18/12/2020 - Ultimo aggiornamento: 28/05/2022
Categoria: News - Autore: Mauro Berta
Il presente articolo passa in rassegna le maggiori teorie esistenti in letteratura, che forniscono una spiegazione rispetto alle origini della malattia nota a tutti come la sifilide. Le manifestazioni cliniche, la trasmissibilità ed il trattamento di questa malattia variano nel corso della storia naturale dell'infezione ed è possibile approfondire l’argomento trattato nella scheda malattia.
La sifilide, è una malattia a trasmissione sessuale, causata dal Treponema Pallidum, che presenta una storia tumultuosa ed ha rappresentato una minaccia per l'uomo per molti secoli. In letteratura sono esaminate le maggiori controversie sulle origini della sifilide che assumono tre ipotesi, due delle quali riguardano esclusivamente la questione europea.
La prima ipotesi è detta colombiana e riconosce la sifilide come contagio del Nuovo Mondo, dopo la scoperta dell’America veicolata dagli spagnoli che parteciparono alle spedizioni di Cristoforo Colombo; la seconda ipotesi riguarda una mutazione di un'altra treponematosi già presente in Europa, detta ipotesi precolombiana. La terza ipotesi, quella meno riconosciuta, suggerisce che la sifilide sia stata trasportata dal Vecchio al Nuovo Mondo.
L'ipotesi colombiana ha avuto origine nei racconti spagnoli del XVI secolo, ed è stata resa popolare da Crosby (1969). Propone che la sifilide abbia avuto origine nel Nuovo Mondo e sia stata trasmessa al Vecchio da Colombo nel 1492. Ciò è supportato da testimonianze del XV e XVI secolo che attestano la rapida diffusione e l'estrema virulenza della sifilide nei primi anni dell'epidemia, che alcuni hanno sostenuto suggeriscono una nuova malattia infettiva scatenatasi sulle popolazioni vergini. Si era infatti notata una sorta di immunità nelle popolazioni Maya che sembravano essere assuefatte dal batterio. Le donne tribali di questo popolo presentavano una forma attenuata di sifilide fino all’arrivo degli europei, momento in cui il batterio assunse maggiore virulenza anche per i nativi americani.
Al contrario, l'ipotesi precolombiana afferma che la malattia era presente nel Vecchio Mondo prima del 1490. Si trattava di una malattia molto lieve o che non si distingueva dalle altre malattie da rimodellamento osseo, in particolare da quella nota come “lebbra venerea”.
Secondo questa teoria, i resoconti storici che indicano l'emergere di una nuova malattia nel XV secolo possono essere attribuiti a un aumento della virulenza della malattia o a un migliore riconoscimento medico e laico della sifilide forse a causa dell'introduzione della macchina da stampa o di un ceppo del Nuovo Mondo particolarmente virulento.
Diversi ricercatori hanno dato a questa spiegazione una svolta antropologica ed evolutiva proponendo che la malattia treponemica sessualmente trasmissibile si sia evoluta in risposta ai cambiamenti sociali, culturali e ambientali che l'uomo ha vissuto a partire dal Pleistocene, come l'aumento della densità della popolazione e l'urbanizzazione.
La presenza d’infezione congenita è ampiamente considerata come prova dell'esistenza della sifilide venerea in una data regione e in un dato periodo di tempo. Tra gli altri, Merbs (1992) e Erdal (2006) hanno sottolineato che la sua presenza è fondamentale per confermare l'esistenza della sifilide precolombiana del Vecchio Mondo. Questo perché, a causa delle treponematosi, solo la sifilide viene regolarmente trasmessa in modo transplacentare.
Secondo l'ultima ipotesi, le treponematosi sono espressioni ambientalmente determinate da una malattia unica ed estremamente flessibile, con la sifilide come prodotto di una migliore igiene, che ha ostacolato la trasmissione pelle a pelle delle treponematosi endemiche, così come i lassisti costumi sessuali urbani (Hudson, 1963, 1965). In seguito alle prime critiche, questa teoria è stata screditata da prove genetiche che dimostrano che le tre sottospecie treponemiche sono geneticamente distinte e si sono evolute lungo traiettorie diverse.
È noto come la sifilide, è stata da sempre imputata come una malattia stigmatizzata e vergognosa, ogni paese la cui popolazione è stata colpita dall'infezione ha attribuito la colpa dell'epidemia ai paesi vicini, e talvolta nemici. In Italia, a partire dal 1494 anno dell’invasione di Carlo VIII, la sifilide prese il noto nome di male franzese, in Francia la chiamarono male napolitano, gli spagnoli male dei tedeschi; i danesi, i portoghesi e gli abitanti del Nord Africa conferirono la malattia agli spagnoli e i turchi coniano il termine male dei cristiani.
Il termine “sifilide” fu quindi introdotto da Girolamo Fracastoro, poeta e medico veronese. La sua opera “Syphilis sive Morbus Gallicus” (1530) comprende tre libri e presenta un personaggio chiamato Sifilo, che era un pastore che guidava le greggi del re Alcihtous, un personaggio della mitologia greca. Nel racconto di Fracastoro, Sifilo, arrabbiato con Apollo per aver bruciato gli alberi e aver consumato le sorgenti che alimentavano le greggi dei pastori, fece voto di non venerare Apollo, ma il suo Re. Apollo si offende e maledice le persone con una malattia chiamata sifilide, dal nome del pastore. L'afflizione si diffonde a tutta la popolazione, compreso il re Alcithous. La ninfa Ammerice consiglia agli abitanti di offrire ad Apollo ulteriori sacrifici, uno dei quali è lo stesso Sifilo, e anche di sacrificare a Giunone e a Tellus, quest'ultimo offrendo al popolo l'albero del Guaiaco (Guaiacum officinale), una medicina terapeutica molto usata ai tempi di Fracastoro.
I primi trattamenti e la scoperta della penicillina
Nel 1906 Landsteiner, introdusse l'uso del metodo della microscopia in campo oscuro per il rilevamento della spirocheta della sifilide. Nel 1910 il batteriologo tedesco August Wasserman (1866-1925) arrivò con il primo test sierologico per la sifilide e nel 1949 Nelson e Mayer hanno concepito il Treponema pallidum immobilization test (TPI), il primo test specifico per il Treponema pallidum.
Le loro scoperte hanno avuto un ruolo molto importante nel rilevare la malattia in pazienti sospettati di sifilide, così come in altri individui sani, e nel monitorare la risposta della sifilide al trattamento.
Lo scienziato tedesco Paul Ehrlich (1854-1915) ricevette il premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 1908 per la sua scoperta dell'arsfenamina (Salvarsan). Lo scienziato scoprì il composto che si comportava come un antibiotico per caso, mentre lavorava alla ricerca di una cura per il Trypanosoma brucei.
Il desiderio di Ehrlich era quello di scoprire un “proiettile magico”, un farmaco in grado di legarsi specificamente a un batterio e di ucciderlo, senza intaccare le cellule umane. Salvarsan è stato anche denominato “Compound 606”, come è stato scoperto dopo 606 esperimenti falliti (Tampa et al., 2014). Il nuovo farmaco più sicuro che ha sostituito il Salvarsan, più tossico e meno solubile in acqua, come trattamento per la sifilide, è stato il Neosalvarsan, anch'esso un composto arsenico. Sia il Salvarsand che il Neosalvarsan furono sostituiti nel trattamento della sifilide dalla penicillina, dopo il 1940.
Infatti, nel 1928, Alexander Fleming (1881-1955) scoprì la penicillina e dal 1943 divenne il principale trattamento della sifilide.
Infine, esaminando l’evolversi della malattia, è possibile intuire quanto sia stato facile stigmatizzare non solo gli individui colpiti dalla malattia, ma anche intere nazioni, poiché lungo la storia i paesi sono stati accusati della diffusione della malattia.
Nel corso dei secoli, la sifilide ha colpito individui di varie origini, da monarchi, pittori e filosofi a persone del ceto sociale basso. Nel corso dei secoli sono state sperimentate diverse cure per la malattia. Oggi, la penicillina e i programmi di prevenzione permettono di controllare la diffusione della malattia.
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Sitografia