La storia delle maschere da medico
Data pubblicazione: 16/12/2021 - Ultimo aggiornamento: 28/05/2022
Categoria: News - Autore: Dott.ssa Chiara Dall'Asta
L’esigenza di proteggere chi, per mestiere, doveva avvicinarsi ai malati durante un’epidemia nasce già nel XIV secolo, in concomitanza di una delle epidemie di peste che ha colpito l’Europa.
Nel XVII secolo i medici che si prendevano cura delle vittime indossavano un abito che da allora ha assunto connotazioni sinistre: si vestivano dalla testa ai piedi e indossavano una maschera con un lungo becco d’uccello.
Questo “costume” è solitamente attribuito a Charles de Lorme, un medico che riuscì a curare molti reali europei durante il XVII secolo, inclusi re Luigi XIII e Gastone di Francia, figlio di Maria de’ Medici. Lui descrisse un abbigliamento composto da un cappotto ricoperto di cera profumata, calzoni alla zuava legati agli stivali, una camicia infilata nei pantaloni, e cappello e guanti in pelle di capra.
I medici della peste portavano anche una verga che permetteva loro di colpire (o allontanare) gli appestati. L’abbigliamento del capo era particolarmente insolito: i medici della peste dovevano infatti indossare occhiali e una maschera con un naso lungo una ventina di centimetri, a forma di becco, con due soli buchi – uno per lato accanto alla rispettiva narice – ma che era sufficiente a respirare, e che portava insieme all’aria l’effluvio delle erbe contenute lungo il becco. Infatti, i medici della peste riempivano le loro maschere con la teriaca, un composto di oltre 55 erbe e altri componenti come polvere di carne di vipera, cannella, mirra e miele.
De Lorme pensava che la forma a becco della maschera potesse dare all’aria tempo sufficiente per impregnarsi delle protettive erbe prima di colpire le narici e i polmoni dei dottori.
Maschera del medico della peste
Attualmente conservata al Deutsches Historisches Museum di Berlino).
La ragione dietro a queste maschere antipeste a becco era dovuta una errata convinzione sulla reale natura della malattia. Vi erano varie teorie, le più popolari erano che fosse colpa di una congiunzione sfavorevole tra Giove e Saturno o di acqua contaminata, ma i più erano convinti che fossero gli odori cattivi e l'aria sporca, chiamata "miasma", a trasmettere la malattia. Quindi, lo scopo della maschera era di tener lontani i cattivi odori, preservando chi l'indossava dai contagi. Per questo stesso motivo, solo le finestre esposte a Nord erano ritenute sicure per la ventilazione, e si riempivano le maschere dei medici di piante profumate.
La vera causa della peste venne scoperta solo nel 1894: lo Yersinia pestis, un batterio che si può trasmettere dagli animali agli umani, il contatto con fluidi contaminati o tessuti, e l’inalazione di goccioline infette liberate dagli starnuti o dai colpi di tosse di persone con la peste polmonare.
Non moto tempo dopo, nel 1897, il chirurgo austriaco Johann von Mikulicz Radecki descrisse una più vicina antenata di quella che oggi conosciamo come maschera chirurgica, composta da uno strato di garza. In quegli anni, l’igienista tedesco Carl Flügge aveva dimostrato che la normale conversazione poteva diffondere goccioline cariche di batteri dal naso e dalla bocca, confermando la necessità di una maschera efficace per il viso. Ciò diede inizio alla consapevolezza del pericolo legato all’espirazione umana come causa di sepsi chirurgica della ferita.
Altri attribuiscono il merito di essere il primo a indossare una maschera chirurgica al chirurgo francese Paul Berger, mentre operava nell’ottobre del 1897. Berger era stato allertato da alcuni casi di suppurazione dopo operazioni altrimenti pulite con un assistente affetto da un ascesso alveolare. Una situazione simile si presentò alcuni mesi dopo, quando lo stesso Berger fu affetto da periostite dentale. Egli notò anche gocce di saliva proiettate dal chirurgo o dall’assistente quando parlavano. Consapevole della scoperta di Carl Flügge di agenti patogeni nella saliva, decise di proteggere le sue operazioni da questa forma di contaminazione, e nell’ottobre 1897 iniziò a indossare: “un impacco rettangolare di sei strati di garza, cucito sul bordo inferiore al suo grembiule di lino sterilizzato (aveva una barba da proteggere) ed il bordo superiore tenuto contro la radice del naso da corde legate dietro al collo.”
Lungo un periodo di quindici mesi egli si convinse che l’incidenza dell’infezione era stata ridotta.
La mascherina chirurgica deve essere oggi indossata dagli operatori sanitari durante l'intervento chirurgico e alcune altre procedure sanitarie per catturare i microrganismi presenti in goccioline liquide e aerosol dalla bocca e dal naso di chi la indossa.
Le prove supportano l'efficacia delle maschere chirurgiche nel ridurre il rischio di infezione tra gli altri operatori sanitari e nella comunità. Per gli operatori sanitari, le linee guida sulla sicurezza raccomandano di indossare una maschera respiratoria FFP2 testata per il viso invece di una maschera facciale per uso medico in prossimità di pazienti affetti da influenza, per ridurre l'esposizione di chi la indossa ad aerosol potenzialmente infettivi e goccioline di liquidi trasportate dall'aria.
L’utilizzo delle mascherine di protezione (e del distanziamento) si è rivelata la migliore strategia di difesa contro la diffusione incontrollata del Sars-Cov-2, prima dell’arrivo dei vaccini.