Emergenza pandemica da Covid19 e Medico Competente

Data pubblicazione: 15/03/2021 - Ultimo aggiornamento: 28/05/2022
Categoria: News - Autore: Dott.ssa Silvia Raspa

Emergenza pandemica da Covid19 e Medico Competente

Il virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia che continua ad affliggere larga parte della popolazione mondiale, ha sottoposto ad una forte pressione non soltanto le strutture sanitarie ma lo stesso quadro ordinamentale, di recente più volte integrato al fine di far fronte, in maniera sempre più efficace, all’emergenza in atto.

Il repentino evolversi della situazione critica, senza precedenti storici e per questo motivo non riconducibile a regole generali, ha chiaramente finito per coinvolgere, nei luoghi di lavoro, anche le funzioni del “Medico competente”, chiamato dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”) a ricoprire un ruolo di primo piano per la tutela della salute e la sicurezza del personale.

Questo contributo intende, pertanto, indagare le recenti evoluzioni ordinamentali che hanno da ultimo coinvolto la predetta figura, non tacendone le implicazioni di lungo periodo: la prova dei fatti pare, in effetti, aver dimostrato come nel periodo emergenziale il Medico competente sia stato chiamato non solo a rafforzare la consueta collaborazione con il datore di lavoro, nel senso dell’amplificazione delle tradizionali funzioni che gli sono rimesse, ma anche ad affrontare le implicazioni date dall’evoluzione dei normali modelli di rendimento della prestazione lavorativa.

 

La figura del “Medico competente”

È il dato normativo a soccorrere l’interprete circa la definizione dei profili giuridici della figura in esame: come anticipato, il d. lgs n. 81/2008 la individua nel medico, in possesso di uno dei titoli e requisiti professionali e formativi specificati al successivo articolo 38, che collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi[1] ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria[2], oltre che per tutti gli altri compiti definiti nel predetto decreto.

Quello della nomina di un “Medico competente rappresenta, pertanto, uno specifico obbligo in capo al datore di lavoro, contestualmente chiamato a fornire al primo ogni informazione in merito alla natura del rischio presente sul luogo di lavoro, all’organizzazione del lavoro stesso ed alla programmazione ed attuazione delle misure preventive e protettive, alla descrizione degli impianti e dei processi produttivi attivi, nonché ai provvedimenti adottati dai competenti organi di vigilanza.

I principali compiti propri del Medico competente, sia detto a fini meramente introduttivi delle considerazioni che seguiranno e senza alcuna pretesa di esaustività, possono essere sinteticamente compendiati in una fattiva attività di programmazione della sorveglianza sanitaria, oltre a quella di predisposizione ed attuazione delle misure per la tutela e l’integrità psico-fisica dei lavoratori. Specifici obblighi strumentali a tale essenziale funzione riguardano poi l’aggiornamento e la custodia di una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria ed implicano la costante attività di informazione, da rivolgersi al datore di lavoro ed al lavoratore, in merito a rischi e risultanze dell’attività condotta.

Appare, peraltro, evidente l’importanza della figura del medico competente anche nella collaborazione alla stesura del ben noto documento di valutazione del rischio (DVR), di competenza non delegabile di ogni datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 81/2008,

Più di recente, quindi, le sedi di lavoro sono divenuti un luogo cruciale ai fini della prevenzione e del contrasto all’emergenza sanitaria in atto, assurgendo a potenziale momento di inevitabile contagio fra dipendenti che si lì trovano a condividere le quotidiane mansioni. In tal senso, è ben chiaro come il medico competente si trovi a svolgere un compito di ancora maggiore rilevanza, proprio in vista del supporto al datore di lavoro nella predisposizione di ogni accorgimento idoneo ad evitare il rischio. D’altronde, come di recente sottolineato dalle associazioni di settore, in tale contesto pare fondamentale assicurare un tempestivo flusso informativo tra le autorità competenti a livello Paese e singole realtà di rischio, rispetto al quale l’intermediazione del Medico competente potrà mostrarsi determinante.

 

La situazione emergenziale italiana: le norme di contrasto

Il 31gennaio 2020 deve forse considerarsi il momento da cui far partire ogni considerazione sul tema, occasione dello stato d’emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgere di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.

In quell’occasione, lo si ricorderà, si prevedeva che per l’attuazione degli interventi di organizzazione ed effettuazione del soccorso e dell’assistenza alle popolazioni interessate, oltre che per assicurare la funzionalità di servizi pubblici ed infrastrutture strategiche durante lo stato di emergenza, si sarebbe provveduto a mezzo di ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, nei limiti delle risorse stanziate dalla stessa delibera[3].

Seguiva, poi, il 23 febbraio 2020, il primo decreto legge in tema di “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19(d. l. n. 6/2020), corredato da una nutrita serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) recanti le ulteriori disposizioni attuative[4].

Ancora, il decreto legge 2 marzo 2020, n. 9 interveniva a fissare misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, seguito a stretto giro dal decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, e dai successivi decreti legge 9 marzo 2020, n. 14, 17 marzo 2020, n. 18, 25 marzo 2020, n. 19, 8 aprile 2020, n. 22 e n. 23, 30 aprile 2020, n. 28, 10 maggio 2020, n. 29 e n. 30, 16 maggio 2020, n. 33, 19 maggio 2020 n. 34 e, per finire, 16 giugno 2020, n. 52, e DPCM attuativi che non vale qui richiamare nello specifico, tutti afferenti ad ambiti ed argomenti strettamente connessi alla disciplina d’urgenza dettata per il periodo COVID.

Insomma, senza che questa divenga l’occasione per sovrabbondanti elencazioni normative, è certamente intenzione di chi scrive documentare l’incessante attività normativa (si noti, peraltro, che si è dato conto della sola raccolta degli atti emanati dal Governo)[5] che ha interessato il periodo emergenziale, dettando specifiche previsioni, per ciò che forma specifico oggetto di questo lavoro, anche per la tutela del lavoratore nei luoghi di svolgimento della prestazione.

Si tratta, peraltro, di una normazione da integrare con le singole ordinanze emesse in sede regionale[6], per la Regione Lazio a far data dall’ordinanza del Presidente n. Z00002 del 26 febbraio 2020, misura adottata ai sensi dell’articolo 32, co. 2, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica.

Sin dal primo decreto legge (il citato d.l. n. 6/2020), allora, allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, si prescriveva alle autorità competenti, nei comuni o nelle aree nei quali risultasse positiva almeno una persona per la quale non fosse nota la fonte di trasmissione, o comunque nei quali vi fosse un caso non riconducibile ad una persona proveniente da aree interessate dal contagio del virus, di “adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.

Segnatamente, già in quell’occasione si prevedeva che dette misure potessero coinvolgere, oltre a veri e propri divieti di allontanamento dalle aree interessate, la sospensione della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, la sospensione dei servizi di apertura al pubblico, la sospensione delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale, oltre alla chiusura o limitazione dell’attività degli uffici pubblici, degli esercenti attività di pubblica utilità e servizi pubblici essenziali[7] e delle attività lavorative e commerciali in genere.

Come noto, le regole emergenziali hanno seguitato ad inasprirsi in seguito alla crescita esponenziale del contagio sul territorio nazionale, salvo poi essere riviste in un momento successivo, contestualmente alla riduzione della portata del fenomeno. Più di recente, le misure assunte hanno assunto una caratterizzazione regionale e maggiormente contestualizzata, per corrispondere alla necessità di arginare l’epidemia nei contesti geografici maggiormente colpiti.

 

Il ruolo del Medico competente nel contrasto alla diffusione del COVID-19

Per quanto riguarda il ruolo dei Medici competenti nel contesto in argomento, al fine di delinearne lo scenario di riferimento è d’obbligo fare menzione di due documenti di estrema rilevanza che ne hanno guidato l’operato nel corso dell’emergenza epidemiologica. Si tratta, in primo luogo, del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro[8], sottoscritto il 14 marzo 2020 ed integrato e modificato, con il progredire dell’emergenza, in data 26 aprile 2020. Va, poi, data segnalazione dell’ulteriore “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione[9], approvato in data 9 aprile 2020 dal Comitato tecnico scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile.

Sulla scorta di questi, peraltro, il Ministero della salute è intervenuto con una Circolare del 29 aprile scorso, recante le “Indicazioni operative relative alle attività del Medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione da virus SARS-CoV-19 negli ambienti di lavoro e nella collettività”, di cui si andrà a svolgere dappresso un esame più puntuale.

Il primo Protocollo condiviso, più nello specifico, è stato sottoscritto su invito del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri dell’economia, lavoro e politiche sociali, sviluppo economico e salute, che hanno promosso l’incontro tra le parti sociali, in attuazione delle prime misure di raccomandazione di intese tra organizzazioni datoriali e sindacati, di cui al DPCM 11 marzo 2020, già menzionato. L’importanza del documento risiede, come si evince chiaramente dalle sue premesse, nella stesura di linee guida che regolamentino il contrasto ed il contenimento del COVID-19 negli ambienti di lavoro: il punto 12, poi, è specificamente dedicato alle misure di Sorveglianza sanitaria/Medico competente/RLS.

Si prevede qui, per scendere in un grado di maggiore dettaglio, la sicura prosecuzione, nell’interesse dei lavoratori, delle attività di sorveglianza sanitaria, rispettando comunque le misure igieniche contenute nel decalogo del Ministero della Salute. È chiaro infatti, dalla ratio dell’intesa, come la sorveglianza rappresenti una delle più importanti misure di prevenzione di carattere generale in relazione all’emergenza epidemiologica, essendo in grado di intercettare i primi, possibili sintomi da contagio.

In quella stessa sede, peraltro, il Medico competente riveste il fondamentale ruolo di sensibilizzazione ed informazione rispetto alle migliori attività da condurre sul luogo di lavoro per evitare l’adozione, nello svolgimento delle ordinarie mansioni, di comportamenti che presentino potenziali fattori di rischio. In tal senso, il Protocollo ha previsto anche la piena collaborazione, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione, tra il Medico competente, il datore di lavoro, RLS (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) e RLST (RLS territoriali).

Infine, è stata prevista la segnalazione all’azienda, da parte dello stesso Medico competente, di situazioni di particolare fragilità o di patologie attuali o pregresse dei dipendenti, sì da poter meglio provvedere alla loro tutela nel rispetto, comunque, della privacy di ognuno.

L’ulteriore documento cui si è fatto cenno sopra, stavolta di carattere dichiaratamente tecnico, è stato redatto a cura del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’INAIL e, come detto, approvato dal Comitato tecnico costituito per l’emergenza.

Come si anticipa in sede di “Prefazione”, il documento si articola in due parti: la prima individua una metodologia innovativa di valutazione integrata del rischio di contagio in occasione di lavoro e, in particolare, di “prossimità connessa ai processi lavorativi”; la seconda, si concentra sulla generale adozione di misure organizzative, preventive e di protezione, oltre che di lotta all’insorgenza di focolai epidemici, anche richiamando il precitato Protocollo tra Governo e Parti sociali del 14 aprile 2020.

Anche il documento, com’è possibile rinvenire a lettura del capitolo dedicato alle Strategie di prevenzione, dell’INAIL dedica particolare attenzione al ruolo del Medico competente, specie laddove prevede che, nell’ottica di un approccio partecipato ed integrato all’adozione delle procedure individuate, la sua figura risulti tra quelle determinanti, in ambito aziendale, nel coadiuvare il datore di lavoro nel puntuale monitoraggio dell’attuazione delle misure. In tal senso, la valutazione integrata del Medico si è mostrata imprescindibile per la riallocazione in altra mansione o la temporanea inidoneità alla ripresa del lavoro da parte dei lavoratori, in considerazione della commisurazione della produttività rispetto alla reale disponibilità di lavoratori nella fase emergenziale transitoria. Di qui, le richieste di lavoro a distanza, dell’articolazione delle turnazioni o della valorizzazione dell’articolazione del lavoro a mezzo di tecnologie innovative. Proprio in ragione della riconosciuta “centralità” del ruolo ascritto al Medico competente, l’INAIL si spinge ad auspicare una generalizzata previsione applicativa che estenda, durante il periodo emergenziale (che, assai verosimilmente, sembra destinato ad ulteriori proroghe), il perimetro delle aziende tenute a nominare questa figura specialistica a tutela della salute dei lavoratori, affermando testualmente che “Relativamente alle aziende dove non è già presente il medico competente, in via straordinaria, va pensata la nomina di un medico competente ad hoc per il periodo emergenziale o soluzioni alternative, anche con il coinvolgimento delle strutture territoriali pubbliche”.

È certo che, stante la diffusione attuale e potenziale della pandemia e la situazione di confusione che potrebbe presto generarsi con la contestuale diffusione di comuni virus influenzali, il Medico competente assurgerebbe a figura garante di adeguati assetti di tutela sul luogo di lavoro, giacché oggi – per parafrasare un’espressione suggestiva – nessun sito lavorativo può dirsi esente da rischio.

Aspetto di significativo interesse, che potrebbe militare verso la prospettiva auspicata dall’INAIL inducendo qualunque azienda a ricorrere all’ausilio di un Medico competente, è da individuarsi nell’attività condotta in relazione alla sorveglianza e tutela sanitaria dei c.d. lavoratori fragili, la quale, in considerazione del ruolo cardine del medico competente nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, non può prescindere dal coinvolgimento dello stesso. Si tratta di contesti, questi, ben al di là dell’ordinarietà, come sottolineato anche dal documento in analisi, e che mostrano profili di significativo aumento della soglia d’attenzione in momenti di elevato rischio immunologico, come quello generato dal contesto pandemico in atto. Anche da questa prospettiva, pare potersi affermare che l’attività del Medico competente abbia registrato un significativo aumento di responsabilizzazione, dinanzi al concreto rischio di esposizione dei soggetti fragili[10].

In tal senso, il “Documento tecnico ha rinvenuto nel Medico competente un ruolo centrale soprattutto per l’identificazione dei soggetti suscettibili, oltre che per il re-inserimento nel contesto d’impiego del soggetto con pregressa infezione da SARS-CoV. Al momento di detto re-inserimento è infatti previsto lo svolgimento della visita di cui all’art. 41, co. 2, lett. e-ter del decreto legislativo n. 81/2008[11], anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia, in deroga alla norma.

Importante a chi scrive pare, quindi, la considerazione di un rischio di riattivazione di focolai nei luoghi di lavoro, che continua a dover richiedere la massima attenzione dei soggetti preposti, al fine di anticipare sin dalla fase transitoria le misure volte al loro contrasto. Di questo profilo si occupa uno specifico capitolo del documento in disamina, nella parte in cui rimette proprio al coinvolgimento del Medico competente la collaborazione con le Autorità sanitarie volta a definire gli eventuali “contatti stretti di una persona presente sul luogo di lavoro e che sia stata riscontrata positiva al tampone prescritto per la diagnosi di SARSCoV-2.

Si impone, a questo, punto, un riferimento alle recenti Indicazioni operative[12] rese dal Ministero della Salute (cui pure si è già fatto incidentalmente cenno poc’anzi). Dopo aver ricostruito lo scenario normativo ed operativo dell’attività del Medico competente, le indicazioni fanno espresso richiamo al fatto che “in merito ai compiti del medico competente inerenti la sorveglianza sanitaria e a quanto previsto dall’art. 41 del D.lgs. 81/2008 ed alle tipologie di visite mediche ivi incluse, si ritiene che esse debbano essere garantite purché al medico sia consentito di operare nel rispetto delle misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della salute[13] e secondo quanto previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Rational use of personal protective equipment for coronavirus disease 2019 (COVID-19) WHO 27 febbraio 2020) e richiamate all’art. 34 del Decreto legge 02 marzo 2020, n. 9[14].

Seguono indicazioni circa l’individuazione delle tipologie di visita medica comprese nella sorveglianza sanitaria e le modalità in cui queste debbano essere svolte: si è, in tal senso, privilegiato lo svolgimento delle visite che presentino caratteri di urgenza ed indifferibilità[15].

In linea più generale, vale considerare l’individuazione di fattispecie di possibile differibilità, in epoca successiva al 31 luglio, previa valutazione del Medico stesso. Si tratta, più in dettaglio, delle visite mediche periodiche e della visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro, di cui all’articolo 41, co. 1, lett. e) del decreto legislativo in riferimento. Ancora, in un’ottica di rafforzamento della prevenzione, “andrebbe altresì sospesa l’esecuzione di esami strumentali che possano esporre a contagio da SARSCoV-2, quali, ad esempio, le spirometrie, gli accertamenti ex art 41 comma 4, i controlli ex art 15 legge 125/2001 qualora non possano essere effettuati in idonei ambienti e con idonei dispositivi di protezione[16].

Anche il Ministero della salute si occupa, sulla scorta di quanto già segnalato sopra, di fornire ai Medici competenti le indicazioni relative al rientro lavorativo in azienda del lavoratore[17], sul contract tracing, sulla precoce identificazione dei contatti ed il loro contestuale isolamento, nonché sulla conduzione dei test diagnostici ritenuti più opportuni[18].

Nuovi ambiti di significativo interesse, per la figura in esame, paiono doversi individuare nella fase della vaccinazione, sia per la gestione delle informazioni e dei dati sensibili[19], sia per la stessa possibile collaborazione – in un prossimo futuro – alle campagne vaccinali che verranno condotte in seno alle aziende.

 

Considerazioni conclusive: verso lo sviluppo di nuove forme di lavoro

L’andamento epidemico rimane ancora incerto, nonostante l’avvio delle vaccinazioni nei confronti di alcune categorie, richiedendo pertanto la massima efficacia nel contrasto al rischio di riattivazione dei focolai di contagio e la più alta attenzione e collaborazione non solo del personale sanitario coinvolto ma di tutta la popolazione, da condurre in parallelo al costante monitoraggio di indicatori che potrebbero rivelarsi fondamentali nell’ottica di un’accurata prevenzione.

È altrettanto evidente che la sfida dinanzi alla quale si è posti presenti delle caratteristiche del tutto nuove, destinate ad essere accentuate dalla globalità di scambi e trasporti e dall’elevata mobilità che caratterizza la società dei tempi moderni.

Il rapporto di lavoro, costituzionalmente protetto e tutelato, si mostra peraltro una manifestazione irrinunciabile della socialità e della professionalità individuale, tanto da integrare uno dei fattori di maggiore sviluppo della personalità umana[20]. Il fatto che i luoghi in cui esso si svolge godano della massima forma di protezione e di sicurezza possibile si pone in linea con tutte le indicazioni provenienti dagli studi in materia di diritti umani e sviluppo della persona.

In tal senso, il ruolo del Medico competente, figura non solo da tempo legislativamente prevista ma ormai fondamentale per il sereno svolgimento del rapporto di lavoro, ha mostrato in questo momento storico l’opportunità della costante valutazione di un compito d’interesse per l’intera collettività. I diversi momenti di valutazione e contributo all’isolamento dei casi di rischio, oltre che di analisi dell’opportunità dell’adozione e mantenimento di un adeguato distanziamento sociale anche sul posto di lavoro, si mostrano ancora quali momenti prioritari al fine del perseguimento del compito istituzionale che il decreto legislativo del 2008 affida ad aziende ed amministrazioni tutte.

Pare, poi, d’ordine prioritario, come più volte ribadito dagli addetti ai lavori, condurre un’adeguata analisi case by case in relazione alla specificità di ogni contesto lavorativo, rispetto alla quale la figura del Medico competente pare racchiudere le specificità professionali più utili all’approntamento di idonei canali di sicurezza e prevenzione.

È considerazione del Ministero della Salute quella per cui “se il ruolo del medico competente risulta di primo piano nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro nell’ordinarietà dello svolgimento delle attività lavorative, esso si amplifica nell’attuale momento di emergenza pandemica, periodo durante il quale egli va a confermare il proprio ruolo di “consulente globale” del datore di lavoro[21].

Non può, in effetti, tacersi del fatto che la pandemia, di per sé, abbia fatto emergere forme del tutto nuove di lavoro o, comunque, d’uso non comune nell’economia italiana.

Il riferimento è, lo s’intende, al lavoro agile, smart, a distanza: l’impiego di nuova tecnologia, l’utilizzo di contesti lavorativi nuovi (come potrebbe essere l’abitazione del singolo dipendente o domicili eletti ad hoc), se presentano sicure opportunità di incremento e diversificazione della produttività (di certo, nell’ottica di diminuzione del contatto sociale), recano anche diversi ed ulteriori profili di rischio, sino ad oggi mai davvero valutati o, comunque, tendenzialmente esclusi da analisi approfondite. Le nuove condizioni in cui il lavoratore viene ad essere posto rispetto all’esercizio delle proprie attività quotidiane potrebbero, infatti, condurre ad accentuare il controllo delle modalità con cui viene resa la prestazione, proprio in termini di garanzia della salute psico-fisica.

Nel senso descritto, pare potersi affermare che il ruolo del Medico competente sia destinato ad evolvere e mutare, anche sulla scia di detti scenari offerti dalla pandemia. Accadimenti come quello che ha di recente condizionato il mondo intero hanno portato all’attenzione dell’operatore di settore situazioni del tutto inedite: come dovrà affrontarsi una eventuale riproposizione pandemica? Ancora, a seguito di quanto accaduto, pare opportuno che le misure di prevenzione e gli stessi obblighi di carattere organizzativo si rinnovino e generalizzino o che, quantomeno, si rafforzino i protocolli di reazione emergenziali?

Sono domande a cui le figure professionali e tecniche saranno chiamare a rispondere, verosimilmente in tempi brevi. Per quanto qui all’attenzione, basti asserire che il futuro della sicurezza sul lavoro avrà tutto da imparare da un presente già in movimento, foriero di sviluppi e sfide inedite.

 

[1] Art. 2, co. 1, lett. q) “Valutazione dei rischi”: valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza.

[2] Art. 2, co. 1, lett. m) “Sorveglianza sanitaria”: insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.

[3] Cfr. Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020.

[4] DPCM 25 febbraio 2020, DPCM 1° marzo 2020, DPCM 4 marzo 2020, DPCM 8 marzo 2020, DPCM 9 marzo 2020, DPCM 11 marzo 2020, DPCM 22 marzo 2020, DPCM 26 aprile 2020.

[5] Vi sarebbe, in proposito, da dare menzione anche degli atti emanati dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Commissario straordinario per l’attuazione ed il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto all’emergenza epidemiologica COVID-19, nonché dalle singole compagini ministeriali: v. Ministero della Salute, Ministero dell’economia e delle Finanze, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Interno e Ministero della Giustizia.

[6] Per l’attività della Regione Lazio si veda: http://www.regione.lazio.it/rl/coronavirus/ordinanze/.

[7] Il riferimento è agli artt. 1 e 2 della legge 12 giugno 1990, n. 146, specificamente individuati.

[10] Interessante la proposta del Documento tecnico, a pag. 15, di introdurre “la “sorveglianza sanitaria eccezionale” che verrebbe effettuata sui lavoratori con età >55 anni o su lavoratori al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta. In assenza di copertura immunitaria adeguata (utilizzando test sierologici di accertata validità), si dovrà valutare con attenzione la possibilità di esprimere un giudizio di “inidoneità temporanea” o limitazioni dell’idoneità per un periodo adeguato, con attenta rivalutazione alla scadenza dello stesso”.

[11] Si legga, a pag. 15: “il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la “visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”.

[12] Seguite, in data 22 maggio u.s. dalle Indicazioni per l’attuazione di misure contenitive del contagio da SARS-CoV-2 attraverso procedure di sanificazione di strutture non sanitarie (superfici, ambienti interni) e abbigliamento.

[13] Si veda: http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioNormativaNuovoCoronavirus.jsp.

[14] Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività, pag. 7.

[15] Per tali sono intese (a pag. 8): la visita medica preventiva, anche in fase preassuntiva; la visita medica su richiesta del lavoratore; la visita medica in occasione del cambio di mansione; la visita medica precedente alla ripresa del lavoro dopo assenza per malattia superiore a 60 giorni continuativi.

[16] Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività, pag. 8.

[17] Richiamando l’attenzione, peraltro, sulla responsabilità personale di ogni lavoratore secondo quanto previsto dall’art. 20 comma 1 del D.lgs. 81/2008 e s.m.i. “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.” (cfr. pag. 8 delle Indicazioni operative in argomento).

Infatti (a pag. 9): “In merito al reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID-19, la letteratura scientifica evidenzia che coloro che si sono ammalati e che hanno manifestato una polmonite o un’infezione respiratoria acuta grave, potrebbero presentare una ridotta capacità polmonare a seguito della malattia (anche fino al 20-30% della funzione polmonare) con possibile necessità di sottoporsi a cicli di fisioterapia respiratoria. Situazione ancora più complessa è quella dei soggetti che sono stati ricoverati in terapia intensiva, in quanto possono continuare ad accusare disturbi rilevanti descritti in letteratura, la cui presenza necessita di particolare attenzione ai fini del reinserimento lavorativo”.

[18] A pag. 9, ancora, si legge: “I test sierologici, secondo le indicazioni dell’OMS, non possono sostituire il test diagnostico molecolare su tampone, tuttavia possono fornire dati epidemiologici riguardo la circolazione virale nella popolazione anche lavorativa”.

[19] Si vedano, in merito, le faq del Garante per la protezione dei dati personali, che individuano la figura del Medico competente quale unico soggetto titolato a gestire i dati riferiti alla vaccinazione dei dipendenti (cfr. www.gdpr.it/coronavirus/faq).

[20] Sia consentito citare, in merito, Raspa S., “L’organizzazione del lavoro nelle aziende: emozione e motivazione”, in “LaFrecciaWeb” (https://www.lafrecciaweb.it/2019/09/10/lorganizzazione-del-lavoro-nelle-aziende-emozione-e-motivazione/ ).

[21] Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività del 24 aprile 2020.

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