La stampa ha recentemente riportato la notizia della identificazione e della sintesi in laboratorio di diciassette anticorpi monoclonali, cioè delle immunoglobuline capaci legarsi e di neutralizzare il SARS-CoV-2. Tale scoperta è avvenuta di concerto da parte del team di ricerca guidato da scienziati del Laboratorio Monoclonal Antibody Discovery (MAD) presso la Fondazione Toscana Life Sciences, che hanno collaborato a strettissimo contatto con i colleghi dell'Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” – IRCCS di Roma, del laboratorio di analisi chimiche VisMederi Srl, del Dipartimento di Biotecnologie Mediche dell'Università di Siena e dell'Ospedale universitario di Siena.
Ma qual è l’utilità pratica della scoperta? Innanzitutto va precisato che gli anticorpi monoclonali (MAb: Monoclonal Anti bodies) sono un insieme di anticorpi identici fra loro in quanto sono prodotti da linee cellulari provenienti da un solo tipo di cellula immunitaria (quindi un clone cellulare). Dato un qualsiasi antigene, è possibile pertanto creare uno o più anticorpi monoclonali in grado di legare specificamente un suo determinante antigenico. Questa importante caratteristica degli anticorpi monoclonali li rende uno strumento estremamente efficace in biochimica, biologia molecolare, diagnostica e medicina.
Fra le altre potenziali applicazioni ciò implica la possibilità di individuare, neutralizzare o purificare, catturandoli, i microrganismi patogeni. Nel nostro caso si potrebbero in teoria adattare molto bene, per queste caratteristiche di specificità alla terapia delle forme più gravi di COVID-19, che come è ben noto hanno mietuto tante vittime nei mesi precedenti. Si tratterebbe in sostanza di produrre delle miscele di questi anticorpi, diciassette come detto, con tecniche di ingegneria genetica di particolare complessità, e somministrarle nel sangue dei pazienti. Per realizzare questa miscela sono state analizzate oltre 1.100 cellule B, linfociti produttori di anticorpi, incubate per due settimane con la Proteina S o Spike del coronavirus, per indurle a produrre i sospirati anticorpi. Tale trattamento essendo formato da anticorpi diretti elettivamente contro vari determinanti antigenici del SARS-CoV-2 riuscirebbe a bloccarlo, come una fiera trafitta da innumerevoli frecce. In effetti recentemente una tecnica analoga era stata adottata dai colleghi di Mantova nella terapia dei malati gravi con riferito ottimo esito. Nella fattispecie si era trattato dell’applicazione di un cosiddetto “plasma superimmune”, un plasma cioè, costituito da anticorpi già prodotti da pazienti guariti e ritenuto perciò idoneo al trattamento, ricavato con una metodologia di pulizia del sangue chiamato plasmaferesi, per procedere alla plasmaterapia. La produzione di laboratorio di tali anticorpi attraverso linee cellulari controllate, come nell’esperimento di Siena e Roma, darebbe luogo però a meno rischi di tipo infettivo, tossico o altro e garantirebbe la standardizzazione e la semplificazione delle procedure terapeutiche.